Cultura

Oggi secondo Dantedì: l’Alighieri sempre attuale dopo 701 anni e poeta di pace

NEL DODECISMO CANTO DANTE INCONTRA I VIOLENTI, IMMERSI IN UN FIUME DI SANGUE, LO STESSO CHE HANNO FATTO SCORRERE IN VITA PROVOCANDO LA MORTE DEGLI ALTRI

Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia/ la riviera del sangue in la qual bolle/ qual che per violenza in altrui noccia (Inf. XII, 46-48). L’anno scorso avevamo descritto l’origine del viaggio letterario più famoso della letteratura: la Divina Commedia, un viaggio che il poeta fiorentino Dante Alighieri compieva più di 700 anni fa attraverso i tre regni dell’Oltretomba, Inferno, Purgatorio e Paradiso (per leggere l’articolo sul Dantedì dell’anno precedente clicca QUI). Un viaggio solo fantastico, certo, almeno per i moderni, per i contemporanei. Ma da quando la letteratura non è strumento e bussola della vita?

Sorvolando su tutto questo, andiamo al dunque. Partiamo dal fatto che Dante Alighieri non è conosciuto solo per la Divina Commedia ma anche per altre opere, quali la Vita Nova (una raccolta di rime e prosa strutturate in forma di racconto), il Convivio (rimasto incompleto), il De Vulgari Eloquentia (incompleto), e altre. La Commedia è comunque l’opera dominante, ed è a questa che ci rifaremo anche quest’anno.

Premesso che nessun testo può vivere senza qualcuno che lo legga, senza dunque un destinatario che lo rimetta in vita e lo attualizzi nel proprio contesto storico-culturale, facciamo un tentativo di restituire un tema essenziale, quello della pace, traendolo dall’opera dantesca.

Siamo nel dodicesimo canto dell’inferno. Virgilio e Dante stanno scendendo sempre di più nel profondo del regno infernale, e man mano che si avvicinano al punto più oscuro, dove si trova Lucifero, le punizioni dei dannati si fanno più cruente, perché, naturalmente, più inique furono le loro colpe in vita. I due poeti giungono dunque nel settimo cerchio, dove si trovano i violenti. E nel primo girone di questo luogo sono puniti i violenti contro il prossimo, ossia tiranni e omicidi. Qual è l’esemplare punizione per queste anime? Stando alle ferree regole del contrappasso è in qualche modo un rovescio dei loro peccati in vita, una pena che paradossalmente gli si rivolta contro. Nello specifico, i violenti, sono immersi e affogati in un fiume di sangue, da cui escono a malapena la testa: così come hanno versato il sangue del prossimo in vita, ora saranno inondati da quello stesso sangue dopo la morte. A fare da guardia al girone, e a impedire dunque alle anime di uscire dal fiume sanguigno, ci stanno i centauri, le mitologiche figure metà uomo e metà bestie equine, che colpiscono furiosamente con le frecce i dannati che si spingono per riemergere dal fiume.

Un’immagine terribile, quella descritta da Dante. Tuttavia, a colpire sembrerebbe ben altro. Questo canto, difatti, è uno dei pochi in cui le anime dei dannati non interagiscono con Dante, parlando con lui. Il canto lascia intendere infatti che l’orrore delle loro azioni, la loro condotta disumana in vita, sia tale da non poter avviare nessun confronto fondato sulla pietà e sulla compassione. Essi vengono infatti ricordati solo per nome, i nomi dei più cruenti tra i personaggi della storia. Paradossalmente, gli stessi centauri, che incarnano la bestialità nella loro fisionomia e nella loro struttura, sono più nobili e dignitosi delle anime sopraffatti dalle masse di sangue.

Uno scenario che, purtroppo, per molti versi, ci riconduce ai giorni nostri, giorni di tirannie e di guerre, di sopraffazione: giorni di violenza. Che Dante si preoccupi a malapena di nominare le anime dei violenti la dice lunga sul suo stato d’animo: in vita quelle persone hanno ucciso la pace, hanno vissuto dissanguando la fraternità, facendo a pezzi la libera e pacifica comunione tra la gente. Dopotutto, non si dimentichi che Dante intende salvare con la propria opera sé stesso e gli altri, intende condannare la distruzione tracciando un percorso di salvezza collettivo, il cui fine è il bene dei popoli che abitano questo mondo. La colpa della violenza rappresenta, dunque, il male ostacolante la realizzazione stessa dell’esistenza.

FONTE DELLE IMMAGINI: immagine di copertina e di testo (link)

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