Cultura Politica

La Repubblica italiana: dalla storia ai giorni nostri. Storia di guerra e coraggio

di Sara Battiato

Il 2 giugno del 1946 il popolo italiano (e per la prima volta nella storia italiana anche le donne) fu chiamato a scegliere, attraverso un referendum istituzionale, fra la monarchia e la repubblica.

Per quanto oggi le varie forme di dittatura celata, di controllo e di potere tentino di oscurare la storia, di gettare un velo d’ombra su un passato che in realtà ci ha fatto le ossa, ci ha resi quello che siamo, nonostante questo in molti sapranno che nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale, l’Italia fu spaccata in due. Mentre il sud era stato liberato dagli alleati anglo-americani, e qui il re Vittorio Emanuele III aveva fondato il Regno del sud, al Nord continuava la dittatura fascista. Le truppe naziste, infatti, avevano liberato Mussolini, il quale, trasferito al nord, aveva istituito la Repubblica sociale italiana, con capitale Salò. Fu dunque nell’Italia centro-settentrionale, sottoposta ancora alle violenze e al controllo del regime, che a partire dal 1943 si combatté per la libertà, per la fine dell’oppressione: gruppi armati composti da militari, studenti e operai cominciarono infatti a organizzarsi dando vita alla Resistenza italiana. Attraverso azioni di guerriglia questi combattenti intrapresero una lotta contro l’esercito tedesco e contro le forze fasciste ancora attive, per liberare l’Italia del nord dall’occupazione. Furono questi anni terribili. Milioni di civili dovettero subire gli orrori di una guerra che, come ha sottolineato lo storico Claudio Pavone (nel libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, del1991), era ormai diventata anche una guerra civile. I partigiani italiani, infatti, combatterono contro quegli stessi italiani che avevano aderito liberamente alla Repubblica di Salò, e allo stesso tempo contro il nemico tedesco.

I partigiani, insomma, come si sa, combatterono contro gente della loro stessa terra. «Ogni guerra è una guerra civile» scrisse Cesare Pavese nel romanzo La Casa in collina, il che significa che si combatte sempre tra fratelli e che la morte annulla ogni distanza presunta, riportando la vita al grado zero dell’unione.

Le azioni della partigianeria furono coordinate dal Comitato di liberazione nazionale, cui avevano aderito alcuni dei membri dei partiti politici che, dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, poterono lavorare alla luce del sole nel Regno del sud. Si trattava del Partito d’Azione, della Democrazia cristiana, del Partito socialista italiano di unità proletaria, del Partito repubblicano italiano, del Partito liberale italiano, del Partito democratico del lavoro e del Partito comunista italiano, quegli stessi partiti che guideranno, una volta liberata l’Italia dalle truppe nazi-fasciste il 25 aprile del 1945, i primi passi della nazione nell’immediato dopo guerra, e la maggior parte dei quali lavorerà alla Costituzione.

Quelli del regime furono anni terribili da sopportare, fatti di violenza e orrore. La dittatura fascista aveva spazzato via ogni forma di libertà, da quella di parola a quella di pensiero. Nessuna manifestazione, nessuna forma di dissenso, seppure pacifica, era più permessa. E questo il popolo italiano lo aveva subito per oltre vent’anni. Un popolo che era stato trascinato in una guerra che non voleva e che non poteva combattere; un popolo che, finita la guerra, piegato in due dalla fame, dalla depressione e dalla povertà, aveva trovato lo stesso, il 2 giugno del 1946, la forza di rialzarsi e di scegliere di cambiare la sua storia: in Italia veniva proclamata la Repubblica. La Costituzione è entrata in vigore il 1˚ gennaio del 1948. Il testo sui cui si fondava mirava alla tutela della libertà, della dignità di ogni cittadino, rifiutando ogni forma di razzismo, di discriminazione sociale e di genere.

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recita la prima parte del primo articolo della Costituzione. Il lavoro diventava dunque un diritto costituzionale, un diritto inviolabile dell’uomo. Ci siamo mai chiesti perché? Perché l’Assemblea costituente aveva scelto di introdurre nel primo articolo della Costituzione un diritto difficile da tutelare, da garantire a tutti gli italiani? La Costituzione era il frutto del lavoro di uomini che avevano vissuto uno dei periodi più bui della storia italiana. Erano quegli uomini che avevano visto calpestare la propria libertà, la propria dignità insieme a quella di ogni altro italiano. Erano uomini che credevano nel lavoro, il lavoro che dà dignità. È forse per questo, per difendere quel diritto ancora più grande che è la dignità, affinché nessuno mai venga oppresso o calpestato dalla brama di potere e dalla follia di qualcun altro, per questo quegli italiani avevano scelto di iniziare la Costituzione definendo proprio il lavoro il primo tra i diritti dell’uomo.  

Oggi, si potrebbe dire che di quel proposito trasformato nientemeno che in diritto costituzionale non sia rimasto nient’altro che una traccia scritta priva di valore. Eppure, nonostante quella dignità sia oggigiorno truffata e quasi estromessa dalla vita, il coraggio e i principi dai quali quel diritto proviene non possono non ricordare, conoscendo la storia, le dinamiche con cui un popolo distrutto si alzò per ricominciare, ricominciare dall’uguaglianza e dalla legalità. Solo per questo forse vale ancora la pena credere e lottare per una società di pace e realizzazione.

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