A chi servono i poeti? Questa domanda (che certamente riecheggia Davide Rondoni) dovrebbe risuonare nella mente e interrogare i pensieri. Diciamo che lo scopo della Giornata mondiale della Poesia, istituita dall’Unesco nel 1999 e oggi giunta alla sua 25 esima edizione, potrebbe proprio essere questo.
Allora, dicevamo: a chi servono i poeti? E ancora a cosa serve la poesia?
Forse la domanda è impostata nel modo sbagliato. Quel verbo, ‘servire’, che la dice lunga sullo stato attuale della società degli uomini di oggi, abituata appunto a interpretare il mondo perlopiù sulla base del principio dell’utilità, quel verbo dunque potrebbe essere fuori luogo. La poesia deve servire per forza a qualcosa? O dovrebbe invece illuminare? Magari smuovere, cambiare, fermare, riportare, far scrutare, far trascendere? Come spesso accade, la risposta potrebbe essere a metà strada. La poesia illumina, certo (e Ungaretti ha svelato questo meccanismo rivelatore della poesia con Il porto sepolto), ma non possiamo negare che la poesia non serva anche a qualcosa. Ma a cosa?
Purtroppo, da circa 50 anni, i poeti sono come le comete: trascorrono gran parte del tempo nel buio del loro universo e poi, per pochi minuti, capita che attraversino il cielo di qualche spettatore che, vedendoli, li applaude, senza sapere forse veramente perché o pensando magari che si tratti di persone sofisticate immerse in strane idee e lontane dalla realtà quotidiana. Con la poesia non ci si compra il pane, né le case, né gli abiti, e non ci si pagano certo le visite mediche, i viaggi, e non ci si risparmia la fatica di un giorno di lavoro. I poeti infatti non si vedono più nelle trasmissioni televisive (le interviste ai poeti della Rai si possono recuperare, amaramente, su YouTube), non si ascoltano in radio, e a scuola si studiano soltanto perché qualcuno lo ha imposto dall’alto. Il poeta rischia di diventare insomma una creatura mitologica, una leggenda.
In realtà i poeti, del passato e del presente, sono vivi come lucciole nel sottobosco. Alcuni più luminosi di altri, certo, ma la luce è viva. E se il poeta (come dimostrano secoli di lirica e di ogni altro tipo di poesia) è in grado di gettare luce sull’esistenza con la propria poesia, rischiarando le cose, rendendo manifesto agli altri quello che solo in pochi riescono a vedere (Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto, ha scritto Ungaretti), se il poeta è in grado di fare questo, di portare a galla un segreto profondissimo, allora i poeti servono eccome. Perché il mondo può essere un posto terribilmente buio.
1) Giacomo Da Lentini (1210 circa – 1260) Signora, vorrei dirvi di come l’amore per voi mi ha catturato, a dispetto invece della vostra orgogliosa rimostranza che, voi, che siete bella, mi mostrate, e che di certo non mi aiuta. Povero il mio cuore, che si trova immerso nella sofferenza, che considera vita la sua stessa morte e tutto per amare voi. Dunque, sono morto e vivo allo stesso tempo? No, ma il cuore certamente muore più spesso di quanto non farebbe per cause naturali, e tutto per voi, donna, che ama più di quanto desideri (il bene) per sé stesso, e voi invece lo ripudiate. Amore, ho considerato malamente la vostra amicizia.
2) Dante Alighieri (1265 – 1321) Donne che sapete veramente che cos’è l’amore per vostra natura, io voglio parlare a voi della donna che amo, e non perché pretendo di tesserne le lodi definitivamente, ma solo per dare sfogo alla mia mente. Vi dico che, quando io penso a tutte le sue virtù, Amore si fa sentire con così tanta dolcezza nel mio cuore che se non fosse per il fatto che perdo la forza e il coraggio di parlare di una creatura così tanto nobile, io potrei fare innamorare la gente solo con le mie parole. Né d’altra parte voglio parlare di lei in maniera così tanto elevata da non avere poi il coraggio di continuare e apparire così preda della viltà. Parlerò invece della sua nobiltà moderatamente, rispetto a quello che lei è davvero, e lo farò con voi, donne sposate e non, perché non è il caso di parlarne con altri.
Oggi, potremmo dire, c’è un sacco di luce sprecata (e non quella dell’Enel, che invece si risparmia alla grande). La luce sprecata è quella fiamma che ogni persona porta nel mondo con la propria nascita e che lo stesso mondo ha portato con sé nascendo. Oggi si lavora a spegnere queste luci invece che a rinvigorirle. Si parla di crisi economica, del lavoro, delle migrazioni, ambientale, politica, ma tutte queste parole si possono raggruppare in una sola: la vera crisi è spirituale. Manca cioè quella fiamma accesa che permette di vedere le cose veramente, o di vederle e basta. Al buio si va a tentoni, e questo buio assume forme diversissime, dalla sete di potere di alcuni “grossi” personaggi del nostro tempo fino all’incompetenza gravissima di certi insegnanti che occupano oggi pseudo-cattedre, passando per le atrocità terroristiche, per la superficialità di chi non svolge correttamente il proprio lavoro, per l’egoismo dilagante, per le mistificazioni di ogni genere. Il buio passa anche attraverso gli scribacchini che si autodefiniscono poeti solo per aver pubblicato un libro e aver scritto, banalmente, che il sole illumina il viso di qualcuno o che di sognare non si smette mai. Anche questo può essere buio in un mondo che applaude l’incompetenza, o l’apparente capacità, e denigra invece la profondità perché troppo complessa.
I poeti dovrebbero interloquire con i rappresentanti politici, avvicinati alle persone. Dovrebbero insomma essere ascoltati. La poesia non è certo la soluzione definitiva ai problemi del mondo (i poeti non l’hanno mai preteso), ma si impegna a smascherare le falsità, a scoprire gli altri, a scavare nel mondo per sentire la vita non come libertà ma come qualcosa di superiore alla libertà stessa, e cioè l’appartenenza. Appartenere significa essere parte di qualcosa, e basterebbe già questo a far capire che nessun uomo è possibile da solo.
1 F. Petrarca (1304 – 1374) Non trovo pace, ma neanche ho da combattere; e temo e spero, e ardo (d’amore) ma sono anche freddo (nella sofferenza); mi innalzo sopra il cielo ma giaccio anche a terra, non ho nulla tra le mani ma allo stesso tempo abbraccio tutte le possibilità del mondo. Tale è colui (cioè Amore) che mi tiene imprigionato, che non mi libera del tutto ma nemmeno mi tiene saldo nell’amore, non mi trattiene né mi scioglie del tutto dalle catene, e non pone fine alle mie pene uccidendomi ma neppure estrae la freccia (il metaforico dardo d’amore) dalla mia ferita; non mi vuole vivo né mi dà il colpo di grazia. Vedo ma sono accecato (dall’amore), sono incapace di parlare eppure grido; e desidero morire ma chiedo aiuto, e odio me stesso ma amo un’altra persona. Mi nutro di dolore, e in lacrime sorrido; allo stesso modo non sopporto né la vita né la morte. In questo stato sono, donna, per causa vostra.