LA SCORSA SETTIMANA PRESENTE A RAMACCA L’ASSOCIAZIONE “CASA ROSETTA” (OASI DI CALTAGIRONE) PER DARE TESTIMONIANZA DEI PERCORSI DI USCITA DALLE DIPENDENZE
A Ramacca ancora cronaca riguardante arresti per droga, in un piccolo paese che vive “grandi” drammi legati al consumo di sostanze stupefacenti e, da qui, alla vera e propria dipendenza. A dimostrarlo, oltre ai fatti di cronaca (l’ultimo risalente a pochi giorni fa e leggibile sul sito), è sufficiente l’occhio attento di chi frequenta luoghi di svago e, soprattutto, la testimonianza forte di chi invece è riuscito a prendere consapevolezza del problema e ha scelto di chiedere aiuto intraprendendo un cammino di vera e propria rinascita.
La scorsa settimana, durante la Sagra del carciofo, i locali sede della Pro Loco hanno ospitato alcuni membri dell’Oasi di Caltagirone, una casa terapeutica o struttura di riabilitazione per dipendenti patologici (tecnicamente Dus – Disturbo da Uso di Sostanze), ramo della realtà più grande di Casa Rosetta, che ha invece sede a Caltanissetta. Grazie alla promozione del giovane Giuseppe Schillaci, ramacchese che negli ultimi anni ha dato prova di determinazione nel proprio percorso di uscita dalla dipendenza, facendo della propria testimonianza un’àncora per gli altri, grazie a Schillaci si diceva è stato possibile interagire con i membri dell’Oasi e dare uno sguardo a prodotti di ceramica da loro realizzati durante le attività ergoterapiche laboratoriali previste all’interno della struttura.

<<Per noi è stato naturalmente anche un modo per invitare chi soffre di dipendenza ad avvicinarsi – ha dichiarato il direttore Giuseppe Lo Sardo, che è stato presente sabato pomeriggio – E così è stato: alcuni hanno chiesto informazioni per l’ingresso in comunità e per accedere al programma. L’impatto è stato quindi positivo. Casa Rosetta è attiva da 30 anni, fondata da padre Vincenzo Sorce, e offre riabilitazione in senso generale dalle dipendenze. L’Oasi ospita attualmente 30 persone. Le maggiore richieste riguardano uso di crack e cocaina. Il primo più di tutti. È stato un modo per stare a contatto col territorio e cercare di demolire il pregiudizio sull’andare in comunità>>.