Quest’anno ricorre il centenario della morte di Dante Alighieri. 700 anni dalla scomparsa del poeta che ha raccontato la totalità dell’esistenza
Esiliato, accusato di baratteria e concussione nell’ambito di un’inchiesta contro i guelfi bianchi, lontano dunque dalla città natale e dagli affetti: in queste condizioni, 700 anni fa, poco più che quarantenne, il poeta Dante Alighieri cominciava a scrivere intorno al 1307 il suo capolavoro, la Divina Commedia.
Il Governo italiano, su proposta del ministro Dario Franceschini, ha dedicato a Dante una giornata nazionale, istituita l’anno scorso e fissata al 25 marzo. Quest’anno, però, il Dantedì si carica di un valore aggiunto: in questo 2021 ricorre infatti il centenario di morte del poeta. 700 anni dal lontano 1321, quando Dante, ammalatosi, morì a Ravenna, con ogni probabilità il 13 settembre, all’età di 56 anni. Prima di morire, mise però il punto all’ultima delle tre cantiche che compongono il racconto più acclamato di tutti i tempi. E oggi in molte parti d’Italia si svolgeranno iniziative (nelle forme possibili imposte dalla pandemia) per celebrare un poeta che dopo 700 anni continua ancora a raccogliere riconoscimenti, a essere sentito a riscoperto. Il Comitato per le celebrazioni dantesche dei 700 anni ha organizzato oltre cento appuntamenti previsti lungo l’arco della giornata. Stasera, in diretta Rai, Roberto Benigni leggerà al Quirinale, alla presenza del presidente Mattarella, un canto della Commedia.
Ma perché Dante rimane ancora così attuale? E perché il giorno a lui dedicato è il 25 marzo?
Sulla prima domanda ritorneremo fra poco. Intanto è bene sapere che il 25 marzo non è un giorno scelto a caso. Dante Alighieri, nato a Firenze nel 1265, cominciò a scrivere la Divina Commedia all’incirca nel 1307 (questo è il modo in cui lo stesso poeta definisce la sua opera; ma il titolo “Divina” con ogni probabilità non lo ha scelto Dante, è stato aggiunto dai copisti che hanno trascritto centinaia di volte l’opera negli ultimi secoli). Dai dati che si possono ricavare dal testo si capisce però che Dante ha ambientato il suo viaggio nel 1300, quindi sette anni prima. Non solo, il viaggio nell’Oltretomba attraverso i tre regni, Inferno, Purgatorio e Paradiso, è iniziato nella settimana santa del 1300, il venerdì santo. E in quell’anno il venerdì santo è collocabile il 25 marzo o la prima settimana di aprile. Inoltre, nel 1300 papa Bonifacio VIII ha indetto un Giubileo. Quale migliore anno dunque per scrivere una storia che parla di redenzione e coraggio?
Eppure, non è tutto. Questo non basta a spiegare il perché del 1300. Le altre ragione le possiamo apprendere da un’altra opera di Dante, il Convivio. Nel IV trattato di quest’opera Dante scrive che la vita dell’uomo si può dividere in quattro età: Adolescenza, Gioventù, Senettute e Senio. Nel Medioevo l’arco temporale della vita di una persona era stimato a 70 anni, dunque l’età dei 35 anni era il punto culmine dell’esistenza. E proprio a 35 anni, o comunque fra i trenta e i quaranta, finiva il periodo della gioventù e iniziava quello della senettute, un’età in cui un uomo era chiamato a riconsiderare se stesso, a prendere coscienza della propria condizione di fragilità e cominciare a intraprendere un cammino nuovo di rettitudine. Un cammino che Dante, appunto, narra di avere intrapreso a 35 anni. Ma non lo fa da solo, perché attraverso di lui tutti gli uomini compiono il viaggio. L’opera inizia infatti con il verso Nel mezzo del cammin di nostra vita, ‘nostra’, la vita di tutti gli uomini. Comincia così il viaggio, dall’Inferno dove si tocca il dolore con mano, attraverso il Purgatorio dove ci si purga e fino al Paradiso, dove alla fine il poeta contemplerà (descrivendolo in modo geniale) il mistero della Trinità.
Un viaggio ultraterreno, simbolico e allegorico, ma allo stesso tempo reale, vero, che riguarda tanto la vita nell’Aldilà quanto quella terrena.
Ecco, dunque, perché la Commedia è ancora attuale: perché non solo racconta tutta l’esistenza, ma dà risposte ai suoi drammi. La Divina Commedia parla della speranza dopo la morte, della pace nel mondo, della giustizia; parla dell’amicizia, e soprattutto dell’Amore, in tutte le sue forme. Dante insegna ad ammettere i propri sbagli, a prenderne consapevolezza, a capire che da soli non bastiamo a noi stessi, non siamo autosufficienti.
E che ogni giorno ci si può rinnovare e mettere alla ricerca del vero bene.